La cerasicoltura italiana può essere una sfida vincente, a condizione di impiantare varietà moderne, ad alta produttività e valore di mercato, per le quali è necessario effettuare adeguati investimenti, in special modo per la protezione degli impianti e per le lavorazioni post-raccolta. Sono diversi gli aspetti della filiera su cui intervenire
Pochi dati, relativi al triennio 2017-19, sintetizzano il favore riservato alle ciliegie italiane dai clienti internazionali: innanzi tutto un prezzo medio di 4 euro per 22.000 t di prodotto esportato, contro un prezzo di acquisto di prodotto estero pari a 2,59 euro per 27.000 t importate. Numeri che danno immediatamente l’idea dell’apprezzamento riservatoci dai mercati internazionali e delle opportunità commerciali, anche interne, che è possibile sfruttare con prodotti di qualità, con packaging innovativi e attrattivi; senza considerare la crescita di importanti mercati come quello cinese, oggi invaso da ciliegie turche e cilene. Ma come aggredire questi mercati e rendere la cerasicoltura nazionale più competitiva?
Modernizzare il settore
La cerasicoltura italiana può essere una sfida vincente, a condizione di impiantare varietà moderne, ad alta produttività e valore di mercato, per le quali – soprattutto a causa dei cambiamenti climatici – è necessario effettuare adeguati investimenti, in special modo per la protezione degli impianti e per le lavorazioni post-raccolta. È necessario, quindi, oltre alla competenza e alla capacità di innovare, anche una dotazione finanziaria superiore alla media delle altre colture. A questi ingredienti sarebbe utile aggiungere la capacità di cooperare e la conoscenza del mercato. In sintesi, serve un sistema d’offerta adeguato alla dimensione e alla struttura organizzativa della clientela internazionale. Serve programmare, investire con consapevolezza per rischiare meno. A ben guardare, sono regole comuni a molti comparti industriali, dettami a cui l’agricoltura moderna, se vuol fornire con continuità e profittabilità l’attuale sistema distributivo, non può sottrarsi.
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Cerasicoltura pugliese: dalla tradizione all’innovazione
Considerando il periodo 2015-19, i dati Ismea mostrano che il ceraseto italiano non è cresciuto negli ultimi anni, mentre la produzione, soprattutto a causa degli eventi climatici avversi, mostra una spiccata alternanza produttiva, con un calo significativo nel 2019 (annus horribilis per la Puglia, leader nazionale per SAU dedicata e per quantità prodotta). Molto più elevata la produttività media campana, seconda regione italiana per quote di produzione, prima ancora di Emilia-Romagna e Veneto a livello nazionale.
La cerasicoltura pugliese è concentrata in due macroaree a Nord e Sud-Est della provincia di Bari. Il primo distretto si estende dall’area costiera di Bisceglie ai territori dell’altopiano murgiano di Terlizzi, Ruvo, Corato e Andria, mentre nel Sud-Est barese l’area interessata coincide con i territori comunali di Casamassima, Sammichele di Bari, Turi, Rutigliano, Conversano e Castellana Grotte. Vasti territori vocati che esprimono eccellenze e capacità produttiva importanti anche in questo comparto, nonostante alcune criticità che ne frenano lo sviluppo, come la scarsità di informazioni e la polverizzazione dell’offerta. Come per altri comparti produttivi agricoli, mancano purtroppo dati probanti sulla struttura delle aziende cerasicole, lacuna che rende difficile un’analisi approfondita del settore e, di conseguenza, l’indicazione di linee di sviluppo chiare, in grado di orientare con precisione le scelte politiche.
Le informazioni disponibili indicano che sono ancora troppo poche le aziende specializzate che operano su superfici maggiori di 5 ha e che, quindi, coltivano tra le 2.000 e le 3.000 piante. Il tessuto imprenditoriale pugliese è composto in gran parte di piccoli produttori cerasicoli che concorrono a comporre i circa 18.000 ha coltivati (circa il 60% della superficie nazionale), quelli che forniscono circa 40.000 t/anno (ovvero il 35% della produzione nazionale). Da questi primi dati di sintesi emerge immediatamente una produttività media decisamente inferiore a quella nazionale, dato probabilmente imputabile ad impianti vetusti per età e varietà coltivate, oltre alla stessa polverizzazione dell’offerta, che non consente di beneficiare dell’innovazione che ha contraddistinto la specie negli ultimi anni. E proprio l’innovazione potrà costituire la chiave di volta per il comparto, passando attraverso il rinnovo varietale, con nuovi genotipi da affiancare alla cv Ferrovia e nuovi modelli d’impianto dotati di coperture contro fattori biotici e abiotici.
Innovazioni già ampiamente adottate invece dalle “packing house” di grandi e medie dimensioni, tutte fornite di sistemi di raffreddamento dei frutti in entrata (“hydrocooling”), macchine selezionatrici e calibratrici di ultima generazione e celle di conservazione ad atmosfera controllata, investimenti che rischiano però di non sortire i risultati auspicati per l’insufficienza di prodotto locale conferito. Si tratta di impianti che dovrebbero lavorare a pieno regime per almeno 2 mesi, con capacità produttive 2-3 volte maggiori dei volumi processati nelle ultime stagioni. Una Ferrari che viaggia ancora al minimo dei giri e che ogni tanto si ferma per mancanza di carburante.
La variabilità dell’offerta pugliese, i cui raccolti negli ultimi anni hanno oscillato da poco più di 30.000 a oltre 60.000 t, condiziona pesantemente anche i prezzi che, in funzione della diversa disponibilità di prodotto, hanno oscillazioni anche molto alte nell’ambito di una stessa campagna o addirittura di pochi giorni, mettendo così in grandi difficoltà chi prende impegni con le insegne della GDO, ovvero la fetta più grande del mercato.
Con l’attuale sistema d’offerta permane sempre alto il rischio di non rispettare i contratti firmati mesi prima e gli operatori sanno bene che certe inadempienze – dovute a problematiche climatiche e/o fitosanitarie – possono essere comprese di tanto in tanto e non rappresentare un problema che si ripete ciclicamente, quasi annualmente. Il rischio concreto è che i clienti più importanti, raggiunti con fatica, coerenza e investimenti ingenti, cerchino altrove quella continuità di forniture che non si riesce a garantire.
Si rischia così di perdere quel valore aggiunto proprio delle ciliegie, specie con un panorama varietale ricco e articolato come quello attuale, prodotto con un’attenzione all’ambiente difficilmente rilevabile in altri Paesi.
Un progetto per la cerasicoltura dei prossimi anni
La parola d’ordine per la cerasicoltura deve essere quella di innovare gli impianti per permettere di avere garanzia di produzione con soluzioni sostenibili, puntando alla loro massima efficienza, nella consapevolezza che gli investimenti iniziali sulle tecnologie e le infrastrutture possono rendere il settore più competitivo. Processo già in atto in alcune realtà del Nord Italia: Trentino, Veneto, Emilia-Romagna.
Ciò deve avvenire nell’ambito di un quadro programmatico, attraverso una pianificazione regionale e nazionale. Se da un lato la Regione, responsabile delle politiche di sviluppo locale con i PSR, deve prevedere iniziative di ammodernamento del settore, al livello nazionale il Ministero preposto deve attivarsi per un concreto piano di rilancio della ciliegia “made in Italy”, intervenendo con rapidità – per esempio – per la sigla di accordi internazionali che superino le attuali barriere fitosanitarie e consentano l’export delle produzioni nazionali verso mercati più remunerativi.
cerasicoltura
Un’altra grande opportunità può essere colta potenziando la logistica, adeguando infrastrutture essenziali già parzialmente disponibili: si pensi alle potenzialità degli scali aeroportuali pugliesi, vere rampe di lancio per i mercati “off-shore”; non solo gli scali civili di Bari e Brindisi, ma anche quello di Grottaglie, utilizzato quasi esclusivamente dall’industria aerospaziale e al centro di un territorio che, dalla frutta agli ortaggi, potrebbe avere enormi vantaggi dall’efficiente raggiungimento di mercati altrimenti preclusi. Senza un “hub” con queste caratteristiche, il settore cerasicolo (e tutto il sistema ortofrutticolo di qualità) resta più debole rispetto ad altri competitori comunitari (Spagna e Grecia) e mediterranei (Turchia).
Volendo utilizzare una parafrasi calcistica, per giocare partite importanti, anzi per affrontare l’intero campionato, serve una visione strategica dell’intera filiera ciliegio, nella consapevolezza che con un nuovo modello di cerasicoltura, riducendo i rischi sopra indicati e grazie anche alla benevolenza che è riservata al “made in Italy”, possiamo davvero avere un ruolo da protagonisti. Al contrario, rimanere ancorati a schemi del passato, nella presunzione che nulla cambi mai e che quello che già facciamo sia sufficiente alla promozione di questo frutto, relegheranno la ciliegia a soggetto protagonista di effimere comparse nelle sagre locali.
Data di pubblicazione: 17/05/2021