La potatura della vite: come si opera

Nelle aree viticole mondiali ci sono vari sistemi di potatura: spagnola, californiana, cilena, ecc… Generalmente si tratta di potature molto somiglianti tra loro, in particolare quelle eseguite in California (foto) e Cile.

 

In questi Paesi, non essendoci molta manodopera specializzata, si tende a semplificare la pratica colturale: sulle varietà più fertili si ricorre molto all’utilizzo di cordoni speronati o cordoni misti (ad esempio con un tralcio di produzione più lungo e altri speroni) in modo da facilitare l’operazione anche con personale poco qualificato, ottenendo il massimo risultato col minimo sforzo nella gestione della chioma. Attualmente si può affermare che, a livello mondiale, l’utilizzo di speroni è la tecnica di potatura più utilizzata nei vigneti ad uva da tavola.

 

Tuttavia è importante sottolineare che ci sono alcune varietà dove lo sperone è poco o non fertile, e quindi c’è l’esigenza di utilizzare un sistema di potatura con tralci, che assicuri il massimo della produzione. Tra queste varietà, figura sicuramente la Superior seedless e in parte anche la Crimson seedless, dove gli speroni sono produttivi solo se ben posizionati.

 

Chi effettua operazioni di potatura deve essere consapevole che esiste una netta differenza tra le due branche primarie, basata sulla loro posizione. La branca posizionata più in basso, che normalmente viene chiamata “figlia”, è sempre più avvantaggiata poiché è la prima ad essere interessata dal flusso linfatico rispetto alla seconda branca soprastante, conosciuta anche come “mamma” (tuttavia in alcuni paesi la loro denominazione è inversa). La branca inferiore, quindi, dovrebbe sempre avere un carico di gemme minore rispetto alla branca superiore, affinché quest’ultima possa avere un apparato vegeto-produttivo più importante e compensare la differenza di ingresso della linfa.

 

Altro aspetto molto importante è rappresentato dall’altezza di impalco, comunemente conosciuta come “croce”. È pratica comune per molti agricoltori impalcare troppo in basso, pensando che sarà necessario effettuare tagli di ritorno, non considerando però che meno sarà la luce che raggiungerà la pianta, più questa tenderà ad andare verso l’alto, già dall’anno successivo. Un’angolazione chiusa dei tralci, infatti, riduce la quantità di radiazioni luminose che raggiungono le gemme poste più in basso (perché più in ombra). Ne consegue una incompleta differenziazione che porterà al mancato risveglio delle gemme basali o, comunque, ad un germogliamento stentato o sterile. Non è un caso che i tralci più produttivi sono proprio quelli disposti parallelamente al terreno perché più illuminati.

 

Quando invece la pianta è impalcata più in alto, i capi a frutto e le gemme sono maggiormente raggiunti dalla luce. È dimostrato che nei tralci posti più orizzontalmente e in posizione illuminata, il fenomeno della dominanza apicale risulta essere abbastanza limitato e c’è minore presenza di gemme cieche. Inoltre, con una pianta “più aperta” difficilmente l’apparato epigeo negli anni tende ad allontanarsi e ad andare verso l’alto.

 

Importante durante la potatura è la selezione dei primi tralci esterni, poichè viene assicurato un flusso linfatico ottimale ed equilibrato. Spesso, però, il tralcio esterno risulta essere non abbastanza vigoroso: in tal caso sarebbe opportuno lasciarlo come sperone e scegliere il tralcio successivo più idoneo, nella direzione che più si ritiene giusta per la varietà in questione. I germogli interni direzionati verso il centro della pianta, invece, normalmente sono estremamente vigorosi in quanto, essendoci un flusso linfatico diretto, la pianta predilige tale ingresso. Pertanto diventa estremamente importante eliminarli prontamente poiché, diventando in seguito eccessivamente spessi, per riequilibrare la pianta si sarà costretti a ricorrere a grossi tagli che favoriscono l’ingresso di funghi patogeni responsabili del Mal dell’Esca ed altre malattie del legno.

 

L’inventore della potatura? Un asino…
Un giorno l’asino scappò dalla stalla e corse all’abbeveratoio. Dopo alcune lunghe sorsate d’acqua, alzò il muso e cominciò a brucare i tralci di una vite che il contadino aveva messo a pergola per far ombra. L’asino con i morsi strappò alcuni tralci, altri li accorciò e agli occhi del padrone che accorse con un bastone apparve un disastro. Ma con meraviglia, la vite con i tralci troncati, diede in breve tempo una quantità maggiore di uva rispetto alle altre piante rimaste intatte. Il contadino capì allora che era conveniente potare le viti. Per questo si dice che la potatura è stata inventata da un asino.

 

L’antica storia della tradizione popolare contadina, che vede un asino come primo potatore della vite, fa comprendere che la potatura non richiede molta tecnica: il contadino riuscì ad ottenere una migliore produzione nonostante l’animale mangiò i tralci casualmente senza alcuna selezione. Per questo si dice che non ci sia bisogno di una eccessiva bravura nel potare: l’abilità del potatore di manifesta nel far produrre sempre ed in maniera ottimale il vigneto.

 

Data di pubblicazione: 10/01/2017