Prime considerazioni dopo dieci anni dall’introduzione in Italia di questi sistemi di allevamento che occupano oggi oltre 1.500 ettari. Varietà e portinnesti al centro dell’attenzione degli sperimentatori.
Nei giorni di preparazione di questa nota, sembrerebbe inopportuno e anacronistico parlare di mandorlo superintensivo in considerazione dei venti di crisi che interessano il settore per le basse quotazioni mercantili del prodotto nazionale ed europeo, a causa delle evidenti politiche di “dumping” messe in campo dagli Stati Uniti che, attualmente, rappresentano oltre l’80% della produzione mondiale con 1.156.000 t nella campagna 2022-23 e un volume esportato verso l’Ue di 270.000 t. Questo avviene dopo le ultime stagioni caratterizzate dal vertiginoso aumento dei costi di gestione, soprattutto quelli energetici, idrici, dei fertilizzanti e dei prodotti per la protezione fitosanitaria.
Non ci uniremo al coro dei catastrofisti, ma ci sforzeremo di illustrare che, laddove si opera secondo severi criteri di pianificazione di una coltura con vita pluridecennale, è possibile far quadrare i conti aziendali e produrre reddito, al contrario di quanti oggi dicono di essere irrimediabilmente in perdita.
In Europa nel 2022 le mandorle hanno costituito l’ingrediente di oltre 5.000 prodotti alimentari, raggiungendo così – per l’ottavo anno consecutivo – il primo posto come frutta a guscio più utilizzata nella preparazione di prodotti agroalimentari, secondo i dati del rapporto “Global New Product Introductions” di Innova Market Insights. Un dato significativo da considerare e che dovrebbe costituire una valida motivazione per credere ancora nella coltura.
I sistemi SHD per il mandorlo
Il mandorlo in Spagna e in Italia è stata una coltura rivisitata e reinterpretata solo negli ultimi 2-3 lustri, dopo decine di anni che la vedevano relegata a specie d’interesse minore da coltivare esclusivamente in aree povere e marginali. L’esatto contrario di quanto invece è stato fatto in California, dove sono stati destinati i terreni irrigui delle sue valli centrali.
Il futuro della mandorlicoltura italiana ed europea – che poi significa spagnola e in minor misura portoghese – deve essere orientato verso scelte tecniche che permettano una coltivazione sostenibile nell’ambito della transizione ecologica e il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo. Non uno slogan, ma un concetto che racchiude principi fondamentali che poi dovrebbero costituire importanti leve di promozione del prodotto continentale: rispetto e basso impatto ambientale (anche per il trasporto), salubrità del prodotto, risparmio energetico ecc. Tutti aspetti oggi graditi e ben valutati dai consumatori.
Le innovazioni nel campo della gestione dei sistemi colturali provengono dalla Spagna, con la proposizione di sistemi colturali che prevedono una maggiore densità d’impianto e un elevato livello di meccanizzazione per le operazioni colturali, fino al 100% come nel caso dei mandorleti ad elevata densità per raccolta in continuo (Shd), con oltre 2.000 piante/ha.
Questa nuova interpretazione della coltura, che registra solo 15 anni circa di attuazione in impianti commerciali, mira a ottenere un’entrata in produzione più rapida, una riduzione del volume della chioma per una maggiore efficienza nell’uso di input energetici come acqua, fertilizzanti, trattamenti fitosanitari e manodopera.
Questo processo è stato tuttavia sviluppato con varietà differenti dalla storica piattaforma varietale italiana costituita da Filippo Ceo, Genco, Tuono, Fascionello e Pizzuta d’Avola, le ultime due diffuse solo in Sicilia. La scelta delle varietà idonee ai sistemi di allevamento Shd è sostanzialmente derivata da un’ampia sperimentazione condotta in Spagna nella Valle dell’Ebro su decine di differenti varietà, comprese quelle italiane, allevate con diversi modelli d’impianto e su differenti portinnesti.
Quest’ampia sperimentazione, condotta da Agromillora, ha portato ad individuare un unico portinnesto idoneo per i sistemi SHD. Trattasi del Rootpac 20, ibrido di Prunus bessey x P. cerasifera, caratterizzato da basso vigore vegetativo, circa il 60% se confrontato con il GF 677, e da elevata adattabilità a differenti condizioni pedoclimatiche, tollerante i terreni clorotici e fortemente asfittici e ai nematodi galligeni del genere Meloidogyne.
Nonostante la sua elevata plasticità e la sua estrema versatilità di impiego, va segnalata una certa suscettibilità ad infestazioni di nematodi appartenenti al genere Paratylenchus spp., vista la quasi totale assenza di prodotti specifici per il controllo registrati su mandorlo. Vi sono tuttavia altre soluzioni, come Pilowred® (P. dulcis x P. persica), costituito dal Cita di Aragona, o come Garnem (GxN-15, più vigoroso rispetto a GF 677), proveniente dall’incrocio Garfi x Nemared, con vigoria intermedia tra il Rootpac®20 ed il Rootpac®40. Altro portinnesto interessante è Intensia®, costituito dall’Irta Catalogna, anch’esso ibrido di mandorlo x pesco (Texas x Early Gold) con vigoria simile al Pilowred®.
I portinnesti sono in fase di valutazione in numerose regioni della Spagna e potrebbero costituire un interessante complemento ad entrambi i modelli produttivi. Trattandosi di ibridi interspecifici mandorlo x pesco, ciò li avvantaggia nei terreni più calcarei e/o sassosi, fornendo allo stesso tempo una maggiore efficienza nell’uso dell’acqua e una migliore tolleranza alla clorosi ferrica rispetto ai portinnesti ibridi di susino.
Panorama varietale
Riguardo le varietà, dopo l’ampio screening operato sulla base di alcuni parametri quali autofertilità, capacità e facilità di ramificazione, facilità di gestione della chioma, sono state individuate una serie di varietà con fioritura tardiva se rapportata al germoplasma autoctono spagnolo, ma anche dell’Italia meridionale e insulare, molte delle quali frutto di programmi di miglioramento genetico estero, principalmente spagnolo, ma anche francese e statunitense.
In tabella 1 sono schematizzati i fenogrammi di fioritura e raccolta nelle condizioni pugliesi di coltivazione.
Soleta® è una varietà caratterizzata da:
- estrema facilità di gestione della chioma,
- rapida formazione della parete e
- precoce entrata in produzione.
Ha lo svantaggio di essere la prima a fiorire (anche se la raccolta è più tardiva rispetto alle altre) e la più sensibile a malattie fungine (prima tra tutte la ruggine causata da Tranzschelia pruni-spinosae e T. discolor). Per la fioritura precoce, la raccolta tardiva e alcuni inconvenienti legati alla lavorazione, il suo interesse sta scemando ed è limitato a zone ristrette.
Belona è caratterizzata da:
- una buona facilità di gestione della chioma,
- medio vigore,
- con semi rotondeggianti, simili all’apprezzata Marcona,
- elevato il contenuto in olio e antiossidanti,
- ma con rese in sgusciato più basse rispetto ad altre varietà (25-30%).
Guara (sin. Tuono) necessita di particolari attenzioni nella gestione della chioma e presenta forte suscettibilità al fungo Polystigma ochraceum agente della malattia delle macchie rosse delle foglie e al batterio Xanthomonas arboricola pv pruni;
Lauranne® (Avijor) presenta fioritura tardiva e ha seme singolo di buona forma e pezzatura; è quella maggiormente validata in tutti gli ambienti di coltivazione nazionali.
Vialfas® presenta:
- fioritura successiva a quella di Avijor,
- bassa vigoria,
- scarsa capacità di ramificazione e pertanto necessita di puntuali e numerosi interventi di potatura verde, il che solleva alcune perplessità per il suo comportamento agronomico e necessita di ulteriori verifiche per una piena validazione.
Makako® è molto rustica, con buona vigoria e tolleranza a malattie fungine (specialmente la malattia delle macchie rosse delle foglie), idonea per la coltura in regime di agricoltura biologica. Frutto di buone qualità.
Penta® ha fioritura extra-tardiva, ottima capacità di ramificazione, vigoria medio-bassa, seme singolo anche se di dimensioni ridotte; è mediamente sensibile alla malattia delle macchie rosse delle foglie.
Esperienze con il mandorlo superintensivo nel Sud Italia
In Italia, gli impianti Shd più datati hanno circa 10 anni di età, un periodo sufficiente per definire la loro validità anche nelle nostre condizioni di coltivazione. Attualmente sono circa 1.500 gli ettari coltivati in Italia, l’80% dei quali concentrati in Puglia.
Gestione corretta rispettando la vocazionalità territoriale
Come tutte le colture frutticole, anche per il mandorlo vige la regola di rispettare la vocazionalità delle aree interessate dalla coltivazione. Laddove ciò non è avvenuto ci sono state scottanti delusioni, non certo ascrivibili all’inefficacia dei sistemi ad alta densità.
Lo stesso dicasi per quanti hanno interpretato la gestione delle piante in maniera non corretta e secondo proprie convinzioni, non tenendo conto dei principi fondanti di questa forma di allevamento e/o facendo tesoro delle indicazioni provenienti dai colleghi spagnoli.
Alcuni semplici concetti da seguire, ma con precisione e tempestività, nell’esecuzione delle cure colturali:
- altezza dell’impalcatura dal suolo di 50-60 cm;
- altezza massima delle piante 3 m;
- larghezza della parete 70-90 cm;
- indicazioni non date a casaccio, ma secondo parametri da seguire per rispettare le caratteristiche delle macchine scavallatrici raccoglitrici ed efficientare le loro prestazioni.
Le maggiori criticità riscontrate hanno riguardato la gestione della chioma, sia per quanto riguarda la sua larghezza, sia per la densità da raggiungersi con ripetuti tagli al fine di stimolare la crescita di numerosi rametti produttivi invece che di rami molto vigorosi e poco ramificati. Laddove ciò non è stato fatto o lo è stato solo parzialmente, si è avuta una minor carica di gemme a fiore e dardi/pianta, con conseguente minore produzione per ettaro, oltre a forti danni sulla vegetazione causati dagli organi battenti delle raccoglitrici.
Fabbisogni idrici degli impianti superintensivi
Aspetto fondamentale riguarda i fabbisogni idrici di questi impianti che, di sovente, si attestano intorno ai 5.000 mc/ettaro/anno, un dato al di fuori dei parametri della classica mandorlicoltura.
In terreni con buona ritenzione idrica e ben drenati, ubicati in zone non eccessivamente ventilate e con una corretta gestione, produzioni di 1,5-1,8 t/ha di seme si sono ottenute con volumi irrigui di 3.000/3.500 mc/ettaro/anno.
Diverso è quanto si è operato in aree ricche di scheletro, in terreni poveri, dove perfino volumi doppi non hanno permesso il raggiungimento di tali risultati produttivi, con un peggioramento anche della qualità stessa del seme.
Il fattore acqua risulta, dunque, il fattore limitante specialmente laddove (e sono molte le zone con tali caratteristiche) il suo costo si avvicina ad 1 euro/mc, causa i costi energetici necessari all’emungimento da pozzi artesiani a volte profondi anche oltre 1.000 metri.
Suscettibilità alle fitopatie
La suscettibilità alle fitopatie da parte di alcune varietà è un altro elemento da tenere in forte considerazione.
Guara ha mostrato elevata suscettibilità al fungo Polystigma ochraceum, agente della malattia delle macchie rosse delle foglie, mentre Penta® e Soleta ® sono risultate più suscettibili delle altre varietà alla ruggine del susino causata dai funghi Tranzschelia pruni-spinosae e T. discolor.
Fattori questi da tener ben presente anche per la ristrettezza di agrofarmaci efficaci per il loro controllo e attualmente registrati sulla specie. A questo riguardo è necessario sfatare la credenza che porta a considerare la coltura come rustica e priva di particolari esigenze per la protezione e/o nutrizione.
Il mandorlo è da considerarsi pienamente specie frutticola, alla pari di altre drupacee, e in quanto tale necessita di tutte le cure che solitamente si danno a pesco, albicocco, susino, ciliegio.
Il comportamento varietale del mandorlo
Come precedentemente accennato nella descrizione varietale, la gestione di campo ha evidenziato i comportamenti vegetativi delle differenti cultivar nella costruzione della parete vegeto-produttiva, ma anche le differenti risposte negli ambienti di coltivazione esplorati.
Il sistema Shd richiede tempi veloci per la costruzione della struttura produttiva nel rispetto dei criteri economici dell’investimento che mirano ad accelerare i tempi di rientro del capitale investito. D’altra parte, è fondamentale avere una produttività stabile nel tempo, che garantisca redditività soddisfacente tutti gli anni. È possibile quindi procedere, a distanza di 10 anni circa dalle prime piantagioni di mandorlo Shd in Italia, a redigere una valutazione di massima delle varietà messe a dimora.
Varietà Lauranne®
Ad oggi la varietà Lauranne® (Avijor) è quella che ha dato maggiori garanzie di produttività nei differenti ambienti di coltivazione, unendo ottima vigoria e quindi capacità di riempire rapidamente la parete produttiva, con una fioritura abbastanza tardiva che ha garantito, negli ambienti generalmente vocati alla coltura del mandorlo, una produzione soddisfacente (a partire dal 4° anno attorno a 1,5 t/ha, fino ad aumentare di un 20-30% se la parete è ben gestita).
Varietà Guara
Valutazione decisamente negativa invece per Guara, che non è altro che un clone della cv autoctona italiana Tuono. In combinazione con il portinnesto Rootpac 20 questa varietà perde la sua elevata vigoria e la capacità di ramificare, divenendo estremamente debole e richiedendo quindi elevati input idrici e nutrizionali che non sono comunque ripagati dalla produzione, spesso molto bassa sia a causa dei ripetuti danni da gelo per la fioritura tendenzialmente precoce (primi di marzo), sia per le patologie che la affliggono (Polystigma ochraceum e Xanthomonas arboricola pv pruni) e che concorrono a creare forti condizioni di stress dall’ingrossamento dei frutti fino alla raccolta.
Varietà Vialfas®
Vialfas® ha mostrato un comportamento vegetativo molto simile a Guara, con problematiche di sensibilità anche a minimi fattori di stress del suolo come clorosi o asfissia. La sua fioritura tardiva non si traduce comunque in elevata produttività: nonostante sfugga alla maggior parte degli eventi gelivi, manifesta una bassa percentuale di allegagione le cui cause sono ancora da indagare.
Tuttavia, sarebbe necessario un tempo di osservazione maggiore per meglio valutare il suo comportamento erratico nelle differenti condizioni di coltivazione, considerato che è stata impiantata anche in aree settentrionali, nuove per la mandorlicoltura.
Varietà Makako® e Penta®
Buone le prospettive per le più recenti introduzioni Makako® e Penta®. La prima spicca per rusticità, elevata vigoria e tardività di fioritura, con buona tolleranza alle avversità fungine e buona produttività in questi primi di anni di coltivazione. Discorso analogo per Penta®, che manifesta una vigoria media e che quindi andrebbe preferita in ambienti fertili con buone disponibilità idriche.
Varietà Soleta®
Discorso a parte va fatto per Soleta®. Generalmente è da sconsigliare per la precocità di fioritura (che comunque risulta contemporanea se non leggermente più tardiva alle tradizionali Filippo Ceo e Genco) e per l’estrema sensibilità ad alcune malattie fungine (ruggine, con defogliazione della pianta), ma mantiene la sua validità nelle zone esenti da rischio gelivo e tendenzialmente asciutte grazie alla vigoria e alla produttività, che la rendono la varietà di più facile gestione tra tutte quelle utilizzate nei sistemi Shd.
Varietà Tuono (= Guara), Filippo Ceo
Le esperienze con Tuono (= Guara), sempre innestata su Rootpac 20, hanno mostrato le stesse criticità illustrate per Guara.
Peggio si è comportata Filippo Ceo, con piante rachitiche anche dopo 5-6 anni dall’impianto e con morie estese dovute ad una incompatibilità con il portinnesto Rootpac 20 o alla sua eccessiva debolezza in combinazione con portinnesti altrettanto deboli.
Figura 1 - Sviluppo delle gemme del mandorlo e attitudine a ramificare delle differenti cultivar impiegate negli impianti Shd
Mandorlo autoradicato per i sistemi superintensivi
Negli ultimi 4-5 anni sono iniziate le prime esperienze di impianti Shd che utilizzano piante autoradicate, ovverosia prive di portinnesto. Questo sistema, proposto in Spagna circa una decina di anni fa per la coltura in asciutto, potrebbe diventare la vera novità per la mandorlicoltura italiana nelle zone tradizionalmente vocate, dove le disponibilità idriche sono molto basse o comunque non superano i 1.000 mc/ettaro/anno.
Anche in questo caso la vocazionalità e la scelta dei terreni è fondamentale. Infatti, in suoli pesanti e non ben drenati i danni da asfissia radicale e le infezioni da marciume del colletto causato da Phytophthora spp. sono frequenti. Niente di nuovo considerata la suscettibilità del mandorlo a questo patogeno, che, invece, risulta poco importante quando le piante sono innestate sull’ibrido Rootpac®20.
Come precedentemente accennato, il principale punto critico nella gestione del sistema Shd è la necessità di elevati volumi irrigui. Le prime esperienze nazionali, in condizioni di suoli tendenzialmente poveri e drenanti, mostrano una buona risposta vegetativa e produttiva delle piante autoradicate, con solo eventuali irrigazioni di soccorso e tendenzialmente una maggiore tolleranza agli stress biotici e ad abiotici, che rendono di fatto il sistema economicamente sostenibile.
Esperienze provenienti dalla Spagna mostrano mandorleti in asciutto in piena produzione capaci di produrre 600-900 kg/ettaro di seme, in ambienti con 400-600 mm di pioggia/anno, che, pur realizzando minori produzioni/ettaro, mantengono il vantaggio di una completa meccanizzazione nella gestione degli impianti.
Impianto autoradicato della cv Lauranne (Avijor) di 2 anni e mezzo di età con minima irrigazione
Attenzione alla vocazionalità
Caso quasi unico nel panorama frutticolo, in Italia l’introduzione e lo sviluppo dei sistemi di allevamento Shd per il mandorlo è avvenuta direttamente da parte degli imprenditori agricoli, senza un passaggio dalle strutture di ricerca e sperimentazione. Ciò è avvenuto perché questo sistema ha attirato l’attenzione di imprenditori che hanno più dimestichezza con i criteri finanziari alla base delle scelte colturali.
Le delusioni di molti che ritengono questi sistemi non sostenibili derivano da pianificazioni sbagliate, scarsa o nulla vocazionalità dei territori e gestione agronomica degli impianti non in linea con i principi base da rispettare per gli impianti Shd, se non proprio sconsiderata.
Per la cronica mancanza di manodopera, i sistemi Shd costituiscono una valida soluzione di coltivazione del mandorlo perché prevedono il totale ricorso alla meccanizzazione laddove sussistono le condizioni di sostenibilità per disponibilità dei fattori produttivi e i bassi costi gestionali.
È troppo presto e azzardato declamare l’inadeguatezza di una soluzione tecnica che in molte situazioni risulta vincente ed appagante. I sistemi Shd sono in continua evoluzione per migliorare progressivamente i livelli produttivi e, quindi, aumentare l’efficienza dei mandorleti, attraverso esperienze che porteranno a proporre altezze diverse e spessori della parete correlate al comportamento dei nuovi portinnesti e delle nuove varietà che nel frattempo saranno stati validati e, soprattutto, all’evoluzione della meccanizzazione dedicata alla loro gestione.
La ricerca di nuove varietà idonee a questi sistemi ha punti fermi nella selezione di genotipi autofertili, a fioritura extra-tardiva, meno sensibili alle principali malattie e, allo stesso tempo, meno sensibili alla cascola pre-raccolta dei frutti. D’altronde, l’efficientamento dei sistemi a parete per altre specie da frutto come il melo o il pero è un percorso che data oltre mezzo secolo d’età.
In ultimo, appare fondamentale la presenza sul territorio di tecnici in grado di ben interpretare questa innovazione, consci che il successo aziendale deriva, non solo dal cercare di massimizzare la produzione, ma di saper produrre con meno input e abbattendo i costi gestionali.
Autore: Lorenzo Laghezza
Articolo: https://rivistafrutticoltura.edagricole.it
Data di pubblicazione: 30/10/2023