Innovazione varietale e gestione delle royalty per melo, kiwi e uva da tavola è stato il focus del primo appuntamento de “Gli incontri della rivista di Frutticoltura”. Al webinar, sponsorizzato da DalPane Vivai, hanno partecipato Walter Guerra, Ugo Palara e Luigi Catalano.
Non c’è innovazione varietale senza protezione brevettuale. Un meccanismo di tutela senz’altro controverso, a volte frainteso ed eluso. Le privative vegetali, che prevedono diversi tipi di gestione e riscossione delle royalties – alcune delle quali prevedono la semplice royalty a pianta o ad ettaro, mentre altre aggiungono un prelievo sul valore del prodotto commercializzato (per lo più con un marchio registrato) – mirano a una spinta segmentazione del prodotto al fine di una maggiore distintività e conseguente competitività. Ma le forme di tutela dell’innovazione varietale hanno una logica solo se la nuova varietà ha reali ed elevati requisiti di miglioramento e diversità. Innovazione varietale e gestione delle royalty è stato proprio il focus del primo appuntamento de “Gli incontri della rivista di Frutticoltura”. Al webinar, sponsorizzato da DalPane Vivai, hanno partecipato tre relatori ben noti a chi è del settore e sicuramente a tutti i lettori della rivista: Walter Guerra, dell’Istituto di frutti-viticoltura del centro di sperimentazione di Laimburg; Ugo Palara, di New Plant nonché coordinatore tecnico della rivista di Frutticoltura e Luigi Catalano, di Civi Italia e Agrimeca, che hanno inquadrato il tema nei tre settori di riferimento partendo dal settore delle mele, in cui si assiste a un ampio utilizzo della formula club, passando poi a quello del kiwi, al momento più equilibrato, per arrivare infine al settore dell’uva da tavola con maggiori criticità.
Melo, una giungla di varietà
«Viviamo in un era in cui la protezione varietale così come il management delle varietà assumono un’importanza fondamentale per arrivare al successo e alla differenziazione – introduce Walter Guerra -. La privativa vegetale per un breeder è un must. Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento di numero di domande di privative (da 105 del 2009 a 186 del 2018, +25.7%) che testimonia anche un aumento dell’attività di miglioramento genetico sul melo. L’innovazione in passato passava dalle associazioni vivaistiche, due gruppi di vivai molto importanti sono l’INN e l’AIGN. Quello che si è visto negli ultimi dieci anni è un aumento delle alleanze tra associazioni di produttori per l‘acquisizione e introduzione di nuove cultivar, per esempio SK Sudtirol, CIF, NovaMela, New Plant, Ipa, Efc, Deutsches Obstsorten Konsortium Gmbh, Exklusive Hofsorten, Fruitcraft.
Dopo trent’anni da quando è partito il primo vero club nel settore melicolo, ovvero Pink Lady, oggi in Alto Adige sono messe a dimora 3500 ha di varietà esclusive (20% della superficie totale). Le principali varietà sono: Pink Lady®, Kanzi®, Envy®, Cosmic Crisp®, Giga®, Ambrosia®, Redpop®, Crimson Snow®, Jazz®, Bonita, Joya®, Yello®, Sweetango®, Evelina®, Natyra®, Modì®, Rubens®, Kissabel®, Tessa®. Queste 18 varietà esclusive sommate alla dozzina di varietà “commodity” rappresentano il panorama varietale di riferimento per il settore melicolo dell’Alto Adige. In Trentino le varietà esclusive rappresentano circa il 10% della superficie totale con una decina di varietà.
La filiera dell’introduzione varietale prevede diversi passaggi: ricerca genetica, breeding, proprietà intellettuale, acquisizione, sperimentazione, produzione, commercializzazione. Spesso vengono prese delle scorciatoie per ridurre i tempi. Una di queste è ridurre o saltare la fase di sperimentazione che però è importantissima per ridurre i rischi a carico di chi mette a dimora le nuove varietà ovvero il produttore, che rimane l’elemento più debole e più suscettibile alle crisi di questa filiera».
Nel mondo del melo si osserva una moltitudine di marchi, ma quanto posto c’è per tutti negli scaffali della distribuzione? Quale di queste varietà ci sarà ancora nel 2030? «La risposta non è immediata, ha bisogno di anni di valutazione. Un aspetto determinante è senz’altro avere una varietà che funzioni nelle condizioni pedoclimatiche di riferimento, ma c’è anche un altro elemento da non sottovalutare che è quello del marketing. Valutare quanto è bravo un club rispetto a un altro è difficile, quello che bisogna continuare a fare è la sperimentazione indipendente. Una varietà con un buon marketing ma che non funziona avrà lo stesso insuccesso di una varietà ottima ma che non viene valorizzata, quindi deve esserci il connubio di questi due elementi».
Kiwi ben organizzato
«Una volta c’erano solo varietà libere, principalmente l’Hayward, ma da una quindicina d’anni si assiste a un arricchimento del panorama varietale ma di varietà libere non ne esistono più fatta eccezione proprio per l’Hayward. Le varietà nuove sono tutte brevettate – spiega Ugo Palara -. Le figure coinvolte nei vari progetti di sviluppo varietale sono sempre più diversificate: genetisti, editori, vivaisti, organizzazioni di produttori e gruppi misti di volta in volta costituiti in forme consortili diverse, per citarne alcune: Zespri, Dorì, Jingold, New Kiwi Plant, Summer Fruit, Dorelì, Verde Divo, Kiwi Passion.
La svolta determinante arriva con la prima varietà di Actinidia chinensis. Alla fine anni 90’ in Nuova Zelanda HortResearch, oggi Plant & Food Research, licenzia la cultivar a polpa gialla Hort 16A diffusa col marchio Zespri Gold. Da quel momento il kiwi non è più solo verde, non è più monovarietale e soprattutto fa il suo ingresso nel mondo dei club.
Oltre all’innovazione varietale, Zespri ha anche creato un modello di riferimento per la gestione del prodotto:
- contingentamento delle superfici e una pianificazione nel medio periodo degli impianti;
- esclusività di appartenenza (divieto di coltivare altre varietà);
- assistenza tecnica;
- protocollo di raccolta (sbocco per area di maturazione al raggiungimento dei parametri di durezza, colore, °Brix, s.s.);
- commercializzazione esclusiva e programmazione delle vendite;
- magazzini autorizzati alla lavorazione;
- promozione e marketing.
Club e consorzi hanno introdotto nuove cultivar, ma se vogliono giocare un ruolo significativo nel mercato internazionale devono raggiungere dimensioni tali da sostenere i costi e le funzionalità richieste. Con le nuove varietà bisogna preparare bene il mercato, studiare il collocamento di prodotto, chi sono i competitor, i possibili spazi commerciali, altrimenti si rischia di banalizzare l’innovazione, deludere gli imprenditori e lottare tra piccoli gruppi che di fatto restano “follower” nei confronti di un player internazionale che da tempo domina il mercato e impone un modello di organizzazione che risulta vincente.
Per avere successo bisogna essere consapevoli che le varietà devono essere realmente migliorative rispetto a quelle esistenti e che è necessario raggiungere livelli dimensionali tali da poter generare risorse che sostengano gli investimenti. Uno di questi è rappresentato dai costi dei diritti brevettuali. Sulle royalty se ne dicono tante: giuste, troppe, troppo alte? Le royalty sono senz’altro giuste se il tema è pagare lo sforzo d’innovazione di prodotto. Non riconoscere un valore all’attività di miglioramento genetico metterebbe un freno alla spinta all’introduzione di novità, che oggi viene prioritariamente da privati e non più da enti pubblici come in passato. Quello su cui si può discutere è il numero e il valore delle royalty che spesso sono applicate su troppi livelli (pianta, ettaro e quantità di frutta prodotta) e sono troppo onerose. Nel caso del kiwi è questo il vero tema e raramente si assiste all’evasione delle royalty o dei diritti di privativa proprio per la natura e l’organizzazione stessa dei gruppi proponenti.
L’innovazione è il principale elemento propulsivo per il progresso del settore frutticolo e il rispetto delle regole è essenziale, altrimenti si rischia di perdere credibilità ed essere tagliati fuori dal mercato».
Difficoltà per l’uva da tavola
«Nell’uva da tavola, così come per le altre specie da frutto, innovazione è sinonimo di nuove varietà che sono in maniera esclusiva sottoposte a norme che ne regolano la privativa e la proprietà intellettuale – riferisce Luigi Catalano. L’offerta italiana è ancora incentrata su “varietà storiche” con semi che rappresentano circa il 70% della produzione (Vittoria, Palieri, Italia e Red Globe) mentre le uve seedless mostrano incrementi in superfici coltivate e produzioni che non riescono però a sostenere la domanda, con varietà coltivate, specialmente in Puglia, molto “datate” come Regal Seedless e Crimson Seedless (libere da privativa) e Superior Seedless® (protetta).
Per questo motivo le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai paesi produttori emergenti che offrono varietà seedless innovative e richieste dai consumatori. In più la maggior parte delle varietà libere non hanno appeal e caratteristiche tali da poter competere con quelle di nuova costituzione. C’è pertanto l’urgente necessità per il comparto italiano dell’uva da tavola di adeguare la propria offerta varietale e non perdere ulteriori fette di mercato».
Ma perché dover utilizzare varietà che prevedono il pagamento di royalties? È un sopruso da parte del costitutore o uno strumento competitività per l’impresa?
«Questi sono i sentimenti che molto spesso emergono ma l’innovazione varietale, anche se sottoposta a queste regole, rappresenta un modello di sviluppo gestionale e produttivo per segmentare il prodotto, renderlo tracciabile, aumentare la competitività delle imprese e creare valore aggiunto per il viticoltore (in questo, l’esempio della mela Pink Lady è più che eloquente). Questa logica è tuttavia scarsamente condivisa tra la maggior parte dei produttori di uva da tavola. Un comparto che, a differenza di altri settori della frutticoltura, registra una scarsissima aggregazione e la mancanza di una filiera vivaistica. Molti ricorrono alla propagazione attraverso l’innesto di barbatelle in campo, con marze di provenienza illecita quando si tratta di varietà coperte da privativa, senza essere formalmente autorizzati dagli aventi diritto. Un comportamento illegale, attuato con superficialità, nella presunzione di farla franca, senza conoscere che i diritti dei costitutori sono estesi anche al prodotto, con tutto ciò che significa e ne consegue.
I dati ufficiali delle superfici coltivate a varietà seedless sottoposte a privativa vegetale indicano circa 3.500 ettari investiti, un dato che di per sé dà la misura dello scarso ricorso all’innovazione varietale nel rispetto delle regole e che dall’altra parte lascia ampi sospetti sul suo utilizzo illegale. Ne consegue una gran confusione in buona e/o cattiva fede, che alla fine offusca il profilo del comparto italiano, che non è in alcuni casi non è in grado di offrire le garanzie richieste dai retailers per il rischio che corrono se si commercializzano varietà non in regola con le norme sulla privativa vegetale (PBR). Le principali varietà che si sono più diffuse rientrano nel meccanismo della cosiddetta “Formula Club” che prevede royalty all’impianto, royalty annuali sul valore del prodotto commercializzato e obbligo di conferire le proprie uve ad operatori commerciali concessionari.
Tutte le varietà proposte presentano degli aspetti migliorativi potenziali rispetto a quelle tradizionali. Tuttavia, per far sì che l’innovazione dia i suoi benefici, non bisogna eludere alcuni passaggi: Sperimentazione, validazione e divulgazione dei risultati. La validità delle proposte di breeder ed editori deve essere accertata e dimostrata in campi sperimentali da loro allestiti per validare il comportamento in diverse condizioni pedoclimatiche, con differenti tecniche colturali e per periodi di tempo congrui per le osservazioni e la raccolta dati.
I cambiamenti climatici così repentini, rendono più complesso il lavoro per gli agricoltori e i tecnici che hanno il compito di semplificarne l’approccio a una gestione più sostenibile, efficiente e remunerativa dell’innovazione. Ma occorre fare sistema, tempo ed organizzazione da parte dei produttori. Non uno slogan, ma uno strumento per la competitività delle imprese e per rispondere meglio alle richieste del mercato senza appigliarsi ad alibi che mascherano invece l’urgenza di una maggiore aggregazione, conoscenza, professionalità e capacità manageriali per sfruttare al meglio l’innovazione».
Le presentazioni dei relatori sono disponibili ai seguenti link:
Innovazione varietale e royaty: il caso del melo – Walter Guerra
Innovazione varietale e royaty: il caso del kiwi – Ugo Palara
Innovazione varietale e royaty: il caso dell’uva da tavola – Luigi Catalano
Autore: Sara Vitali
Data di pubblicazione: 22/06/2022